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LE FAVOLE DELLA PSICOANALISI



Accanto all'inconscio personale, inteso come rimosso e sede dei complessi, Jung individuava un inconscio collettivo composto da archetipi, che sono i modi con i quali funziona la psiche in profondità. Se tali funzioni (funzioni più che immagini perché precedono la loro formazione) invadono la coscienza senza un filtro possono risultare numinosi, ossia far vivere esperienze intense e significati; altrimenti danno luogo a fenomeni dissociativi e distruttivi. E' nella fiaba come nel sogno che gli archetipi irrompono e danno forma alle rappresentazioni. La fiaba (più che la favola) racconta il percorso attraverso il quale la mente giunge alla sua maturazione, liberandosi dai complessi che la mettono alla prova (gli ostacoli, le lotte, le sfide), attraverso la funzione archetipica (un oggetto magico nelle storie o un feticcio animato nella vita del bambino) che invece di annientarla finisce per fortificarla. La sequenza è piuttosto lineare e ordinata. Nella fiaba gli eventi si dividono in quattro momenti. Il primo racconta il luogo, il tempo, i personaggi principali, l'inizio dell'azione. Il secondo la vicenda nella sua dinamica avventurosa. Il terzo la crisi, in cui il protagonista si trova di fronte a situazioni in grado di annullarlo. In ultimo la ''lisi", in cui il protagonista trionfa. Per Bettelheim il bambino non è un soggetto passivo rispetto alla storia ma partecipa attivamente con le sue emozioni e la fantasia, avverte che è un racconto che lo riguarda in profondità. Attraverso l'identificazione con i personaggi riesce a superare le situazioni conflittuali e angoscianti; si libera dalle pulsioni aggressive e dallo stato di impotenza, in qualche modo nasce alla vita adulta. La componente trasgressiva è un elemento fondamentale nella favola come nella fiaba, ed è una tappa naturale nella crescita di un individuo. Si tratta di deviare da un sentiero segnato da istanze superegoiche non ancora assorbite dalle figure di riferimento adulte. Nell'infanzia il Super Io è debole e viene aggredito dall'Es; Pinocchio si sottrae agli ammonimenti della fata e di Geppetto, Cappuccetto Rosso a quelle della Madre. Padre e Madre non sono sufficientemente assorbiti e quindi ancora inconsistenti nella mente del bambino. La trasgressione è una specie di immersione nell'inconscio personale e una protesta al mondo adulto che non riesce a integrare, nella quale percepisce i conflitti interni personificati in immagini che provocano paura e panico. Ma è anche un tentativo di liberarsi dalle catene della lingua e dalle regole narrative quando invadono la vita intima. Si tratta di un'esperienza intensa e paurosa e il bambino avverte i pericoli; la paura è un modo per comprendere, quel che non ha forma assume un contorno e la paura viene almeno in parte detonata. L'immersione conduce poi a un ritorno all'inconscio extrapersonale collettivo. Nel sogno come nella fiaba il bambino sperimenta la forza distruttiva o creativa degli archetipi. Pinocchio incontra Mangiafuoco, poi viaggia nel Paese dei Balocchi, viene quindi inghiottito e incorporato, si immerge nella pancia della balena. Cappuccetto Rosso è ingoiata dal lupo, Cenerentola deve ritornare dalla matrigna. Se il bambino fa un bagno nell'inconscio personale, il contesto immaginario risulta ansioso; mentre l'immersione nell'inconscio collettivo porta in situazioni estreme, angosciose e depressive. Il limite è quello. L'ansia vissuta dal protagonista e in cui si identifica il bambino è uno stato d'animo suscitato da eventi che non riesce a integrare, prima che da draghi o orchi, e rappresenta una reale minaccia per l'Io. Si tratta di una paura senza l'oggetto, paura della paura; quel cieco sentire che afferra Pinocchio (che infatti è pieno di presagi negativi) prima di partire per il paese dei Balocchi, o quello che prende Biancaneve quando si avventura nel bosco. Nella sua profondità la paura è attesa e l'attesa è uno dei modi in cui si presenta l'angoscia. L'incomprensibilità che sta nel fondo scaturisce da stati d'animo ambivalenti; è un elemento fondamentale, nella narrazione tanto nella psiche, quanto da presentarsi praticamente in tutti i racconti per l'infanzia, ma anche nella mitologia e in buona parte della letteratura. Nell'immersione i protagonisti incontrano figure fantastiche che sono elementi interni alla mente, non proiezioni ma reali presenze con cui viene in contatto: i complessi dell'inconscio personale e gli archetipi dell'inconscio collettivo. Il Grillo Parlante non è una rappresentazione del Super Io, ma la voce narrante della coscienza in conflitto con i desideri del butattino; il Gatto e la Volpe (l'ultima in particolare, sotto la quale si nasconde la strega, come avverte Von Franz) immagini archetipiche dell'ipocrisia, dell'astuzia e della cattiveria. In Hansel e Gretel gli adulti sono figure divoratrici; le sorellastre di Cenerentola, l'Ombra che viene proiettata dal sottosuolo. In Cappuccetto Rosso il lupo è l'archetipo della malvagità e incarna l'immagine distruttiva o autodistruttiva. Il pericolo reale non è l'aggressione del Lupo, ma la personalità del bambino che può soccombere, divorata dall'inafferrabilità di fenomeni contrastanti o fagocitata dalla personalità degli adulti, diventando ritorsione e autodistruzione. La repressione diventa perversione, poi masochismo o sadismo a secondo delle situazioni. Si tratta di una trasformazione radicale del protagonista del racconto, non sempre lineare e ordinata come analogamente accade nel sogno. Il Brutto anatroccolo diventa un cigno, Pinocchio un bambino, Cenerentola e Biancaneve principesse. The Uses of Enchantment. The Meaning and Importance of Fairy Tales, A. Knopf 1976 (tradotto in italiano con il titolo "Il mondo incantato"), di Bettelheim è il libro da cui partire per una lettura psicoanalitica delle fiabe. L'autore sottolinea che le versioni originali delle favole, in cui erano ancora presenti gli elementi crudi e violenti, permettevano ai bambini di rappresentare i conflitti con maggior intensità. 




Le interpretazioni, che risalgono alla prima topica freudiana risultano certamente schematiche, ma di un certo interesse rimangono le considerazioni sulla coppia narratore e ascoltatore. Per Bettelheim: “Il processo inizia con la resistenza ai genitori e con la paura di crescere e termina quando il ragazzo ha realmente trovato se stesso, ha raggiunto l’indipendenza psicologica e la maturità morale e non vede più l’altro sesso come minaccioso o demoniaco, ma è capace di entrare in relazione con esso”. Emblematica è la storia di Rapunzel dei fratelli Grimm. In Raperonzolo si legge che la maga rinchiude la bambina (Raperonzolo appunto) nella torre quando aveva poco più di dieci anni. Difficile non rinvenire nella vicenda il paradigma di un’adolescente e di una madre oppressiva che ostacola la crescita della figlia. Così scrive lo studioso austriaco: “Un bambino di cinque anni ricavò una rassicurazione completamente diversa da questa storia. Quando seppe che sua nonna, che accudiva a lui per la maggior parte della giornata, sarebbe dovuta andare in ospedale perché gravemente ammalata … chiese che gli fosse letta la fiaba di Rapunzel. In quel momento critico della sua vita ... [prese conforto dal] fatto che Rapunzel trovò i mezzi per sfuggire alla difficile situazione nel proprio corpo, ovvero con le trecce che il principe usò per arrampicarsi fino alla sua stanza nella torre. Che il proprio corpo possa fornire a una persona il sistema per salvarsi lo rassicurò con l’idea che anche lui, in caso di necessità, avrebbe analogamente trovato nel suo corpo la fonte della sua sicurezza”. Semplificando, così come fanno le favole, i problemi fondamentali si presentano in modo chiaro e conciso, comprensibile al linguaggio infantile. Ed è forse questo il loro carattere deleterio; non c'è sforzo o articolazione nella comprensione, creano dicotomie rigide su base emotiva e non secondo ragione. La ragione subentra posteriormente quando è oramai contaminata dalla morale. I caratteri dei personaggi sono nettamente spiegati, il dualismo bene-male impone il problema morale e richiede uno sforzo affinché possa essere superato. Non più secondo ragione però, ma sulla base di una tensione interna; la paura domina nella scena e muove organizzandola la psiche del fanciullo. La regola è salvarsi la vita, la comprensione dei fenomeni non può che essere subordinata e successiva. Per quanto l’eroe risulti come esempio al bambino, permettendogli di identificarsi in un personaggio positivo affrontando e vincendo situazioni pericolose, la morale compensata con la lotta e la vittoria tende a prevalere sul principio di ragione e ancor di più sul contenuto letterario. Ed è questo il limite della favola, la comprensione morale si sovrappone a ogni altra. La paura assorbe il campo e non lascia spazio ad altre considerazioni oltre quelle brutalmente contingenti. I personaggi delle fiabe non sono mai ambivalenti, buoni e cattivi allo stesso tempo, come invece accade nella realtà. La scelta è obbligata, fa in modo che non si possa articolare il racconto e il lieto fine è pressoché scontato; ragione per cui risultano dannose per la crescita, in quanto limitano fortemente il campo dell'esperienza e delle emozioni. Pur precisando che per Bettelheim “Il succo di queste fiabe non è propriamente morale, ma piuttosto la fiducia di poter riuscire”. Raperonzolo è una fiaba europea, pubblicata dai fratelli Grimm nella raccolta (Kinder und Hausmärchen, 1812-1822). Il nome della protagonista dipende dal fatto che quando la madre era rimasta incinta venne presa dal desiderio di mangiare i raperonzoli che crescevano nel campo della vicina, la strega Gothel. La vicenda può essere ricondotta alla figura mitologica di Danae. Ne Lo cunto de li cunti (1634), noto come Pentamerone, di Giambattista Basile si trova la fiaba Petrosinella, che narra una storia simile. Basile racconta di una donna gravida che desidera il prezzemolo (da cui deriva il nome di Petrosinella, nel dialetto campano) che si trova nel giardino di un’orchessa. Il mostro la cattura e in cambio della vita ottiene il possesso della bambina una volta nata. Tutto questo avviene ovviamente con un linguaggio elementare ma profondo, non sempre accessibile alla coscienza vigile; si tratta di una simbolizzazione. Per l’analisi delle fiabe da un punto di vista psicoanalitico, a parte il libro di Bruno Bettelheim, risultano esaustive anche alcune pagine di Melanie Klein e di Erich Fromm. Di particolare interesse sono le considerazioni della Klein in merito alla posizione depressiva e schizoparanoide: i personaggi non sono buoni e cattivi nello stesso tempo; è l'ambiguità a provocare uno sforzo di comprensione e uno scollamento della personalità. La polarità del carattere permette al bambino di comprendere la differenza tra un modo e l'altro, ma disturba il suo campo cognitivo. Il bambino si identifica facilmente con i personaggi che suscitano la sua affezione (solitamente i buoni) e decide a sua volta di essere buono. Nell'identificazione la domanda che si pone non è “desidero essere buono?” ma “chi voglio essere?”. Non è la virtù a fare buoni ma l'imitazione di un eroe con i caratteri della bontà; diversamente è richiesta una capacità astrattiva, che di norma manca al bambino. Proiettando se stesso nel personaggio il meccanismo dell'interiorizzazione completa la formazione della sua personalità. La simbolizzazione è necessaria come mediazione con il linguaggio cosciente e la rappresentazione è una forma di simbolizzazione necessaria alla comunicazione con la parte in Ombra della personalità. Non va interpretato al bambino il significato della storia: “E’ sempre un atto di invadenza interpretare i pensieri inconsci di una persona, per rendere conscio ciò che desidera mantenere preconscio, e questo è particolarmente vero nel caso del bambino”. La mamma non deve mostrare al bimbo che conosce i suoi pensieri intimi; la spiegazione distrugge l'incanto, trascina nella realtà e non permette di fantasticare. La fantasia è una forma di libertà, anche dei pensieri. L'antropologo russo Vladimir Propp nel suo saggio Morfologia della fiaba (1966) ritiene che tutte le fiabe presentino elementi comuni, ovvero una stessa struttura che ritrova al suo interno i medesimi personaggi che ricoprono le stesse funzioni in relazione allo sviluppo della storia. In particolare la fiaba presenta un equilibrio iniziale (inizio), la rottura dell'equilibrio (avventura) seguita dalle peripezie del personaggio principale, per giungere a un ristabilimento dell'equilibrio (conclusione). Questo schema universale fa da cornice al processo di simbolizzazione all'interno della fiaba perché il contesto stesso della fiaba è simbolico: il simbolo viene rinforzato dalla struttura della fabula proprio perché è comune in tutte le fiabe. Attraverso la via dell'immaginario, favole e fiabe accomunano civiltà e culture lontane, dimostrando che in esse siano assorbiti gli elementi dell’inconscio personale e gli archetipi di quello collettivo.
Quando si parla di favole e fiabe è anche inevitabile il confronto col mito, ma i processi identificativi risultano più complicati: se il mito, come la fiaba, può rappresentare un conflitto interiore in forma simbolica e suggerire la soluzione, presenta la storia in una forma colta spesso inaccessibile alla lingua e alla fantasia del bambino. Da un punto di vista propriamente psicoanalitico i miti sono collegati alle richieste del Super Io e raccontano il conflitto con le esigenze dell’Es e quelle di conservazione dell’Io. Sono rappresentazioni distanti e ricordano il rigore della censura o dell'imperativo morale. La favola, diversamente dal mito, non pone richieste, non produce un senso di inferiorità, stimola anzi una certa reazione. Attraverso esempi tratti dalla letteratura popolare, Bettelheim dimostra come il messaggio di queste storie domestiche aiuti a superare l’angoscia di essere piccoli in un mondo di grandi. Ed è per questo che risultano convincenti. Il pensiero del bambino è animistico (picchia la sedia su cui ha sbattuto, parla con la bambola); non ci stupiamo che il vento e gli animali parlino, o che un uomo si trasformi in un asino, poiché la separazione tra organico e inorganico non è ancora definita come nel mondo degli adulti. Le fiabe evocano situazioni che permettono al bambino di affrontare ed elaborare le reali difficoltà della propria esistenza; sono utili perché aiutano a tradurre in immagini visive gli stati interiori, danno un volto a quel che non ce l'ha. La fiaba intrattiene però il bambino, lo afferra come i gendarmi delle storie e lo costringe a riconoscersi in un contesto elaborato da un mondo adulto. Favole e fiabe sono scritte dai grandi e l'inconciliabilità con il mondo dei bambini è evidente, non possono che esercitare una qualche violenza. Doverosa certo, ma incontestabile. Il processo evolutivo del bambino inizia con la resistenza ai genitori e con il timore di crescere, e termina quando ha realmente trovato se stesso raggiungendo la stabilità psicologica e la maturità morale. Questi racconti danno voce a problemi evolutivi rilevanti (il bisogno d'amore, il sentirsi inadeguati, l’angoscia dell'abbandono, la paura della morte), scarnificando le situazioni, separando il bene dal male distinguono in modo chiaro quel che nella realtà è confuso; parlano al bambino dei problemi che avverte come angoscianti e ne prospettano le soluzioni. Soluzioni adulte naturalmente. Le storie accettano a livello della consapevolezza le pressioni dell'Es, e indicano i modi per soddisfare il piacere in accordo con le esigenze dell’Io e la severità del Super Io. Il bambino ha bisogno “di ricevere suggerimenti in forma simbolica riguardo al modo di affrontare questi problemi”. Diversamente, quando i contenuti nascosti vengono negati, se non hanno accesso alla coscienza, oppure se vengono limitati o oppressi, la personalità subisce un danno. Il piacere ha una sua legittimità riconosciuta anche dagli adulti, incistare la dinamica Io-Es vuol dire produrre una personalità sofferente e problematica; le fiabe offrono una via di fuga all'adulto che le racconta e una certa soddisfazione al bambino che le ascolta. E’ fondamentale che una parte del sottosuolo possa affiorare alla coscienza e venga elaborata attraverso l’immaginazione, perdendo parte della sua pericolosità. Bettelheim era critico sul fatto che al bambino debbano essere presentati soltanto le realtà positive. Il bambino non è un extraterrestre, deve fare i conti anche con la parte oscura, l'Ombra, con l’aggressività, l’odio, l’ansia, la rabbia maturando il coraggio per affrontare le difficoltà. Le difficoltà le creano più o meno consapevolmente gli adulti, riversandole spesso nella sessualità.
Se è evidente la presenza di contenuti sessuali nella storia, le interpretazioni discordano. Alcuni autori si sono spinti fino a rinvenire nei racconti la prostituzione. La fiaba potrebbe essere intesa come un'esortazione a non esercitare quella professione. Il tema della ragazza nel bosco in molte culture viene associato alla prostituzione; nella Francia del XVII secolo la mantellina rossa era veniva indossata dalle meretrici e le lupae dell'antichità dovevano portare un drappo rosso. Il rosso rappresenterebbe le mestruazioni e l'ingresso nella pubertà (la foresta) mentre il lupo, l'uomo era visto come l'aggressore. Ma, pur non mancando l'erotismo nelle storie popolari, sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano, frutto come si vede di una certa morbosità e di un gretto intellettualismo da parte degli adulti.
Un aspetto invece interessante è l'antropofagia. La fiaba ha origine nel contesto europeo piegato dalle carestie, durante le quali si contavano casi di cannibalismo (emblematiche sono la carestia del X secolo e quella ancora più drammatica del 1315-1317). Soprattutto nelle versioni più antiche delle fiabe la figura antropofaga prendeva la forma di un'orchessa, un mostro femminile, piuttosto che di un lupo (di sesso maschile, la cui antropofagia era riconosciuta come un fatto ordinario) e ciò induce a pensare come questi racconti si siano modificati per rispondere alle diverse esigenze educative.
Per concludere. La fiaba è un racconto mitico costituito da immagini e personaggi archetipici. Jung scrive che le fiabe consentono di studiare l'anatomia della psiche meglio delle discipline scientifiche, in quanto presentano in forma pura i processi dell'inconscio collettivo e riproducono modelli del comportamento archetipico (von Franz, 1996). Occorre mettere da parte la cultura per ascoltare ciò che il simbolo ha da dire. Marie-Louise von Franz ha dedicato parte del suo lavoro proprio all'interpretazione psicologica della favola. Sottolineava che tutte le fiabe descrivano il Sé, l'archetipo fondamentale della psiche. Nel libro "Le fiabe del lieto fine; psicologia delle storie di redenzione" (2004) la von Franz analizza il lieto fine a partire dalla trasformazione e la liberazione in quanto possibilità di arrivare al Sé. Le fiabe caratterizzano non solo l'equilibrio di un individuo, ma offrono anche un metodo terapeutico. Analizzando le strutture archetipiche della fiaba, la psicoanalista puntualizza: “Al di sotto della superficie delle nostre vite quotidiane esiste uno strato della vita psichica dove gli eventi scorrono proprio come nelle fiabe. I grandi miti emergono e si sviluppano a partire da tale livello, per poi ridiscendere nuovamente nel profondo dell'inconscio e trasformarsi in fiabe” (von Franz, 2009). Ciò vuol dire che la fiabe presentano gli archetipi nella forma genuina e pura, offrendoci un alfabeto e un metodo per comprendere i processi della psiche collettiva. Mentre nei miti, o in qualunque altro materiale narrativo elaborato, rinveniamo i modelli della psiche rivestiti di elementi culturali, nelle fiabe l'invadenza culturale è presente in misura limitata; riflettono più direttamente i modelli profondi della psiche. La ragione di un'interpretazione psicologica delle favole, per la von Franz consiste nell'effetto rigenerante, nella reazione emotiva, in quell'incomprensibile equilibrio che producono: “L'interpretazione psicologica è il nostro modo di raccontare storie; avvertiamo ancora lo stesso bisogno, aspiriamo ancora al rinnovamento che scaturisce dalla comprensione delle immagini archetipiche”. E aggiunge con autocritica: “Sappiamo bene che l'interpretazione è il nostro mito” (von Franz, 1996). Nel suo libro "Le fiabe interpretate", l’autrice schematizzava le fasi per una corretta interpretazione, con una tecnica che ricorda quella strutturalista: introduzione (c'era una volta; la formula indica una collocazione fuori dallo spazio e dal tempo e dunque in un luogo immaginario, e perciò comune, collettivo); personaggi (contare i personaggi all'inizio e alla fine può essere utile per cogliere un elemento archetipico); esposizione (l'inizio del problema, la crisi e le difficoltà che caratterizzano la fiaba); avventura e lisi (l'avventura, che può articolarsi in varie peripezie fino a giungere al vertice della tensione dopo la quale “avviene una lisi o una catastrofe, una soluzione positiva o negativa, l'esito finale; il racconto termina poi in tragedia o si conclude felicemente”). In ultimo ci sono le formule conclusive, “rite de sortie”, così dette per non rimanere vincolati all'universo infantile dell'inconscio collettivo. Una caratteristica della fiaba che non ritroviamo in altri generi come miti e leggende, è che la conclusione può anche essere ambigua, ossia una conclusione positiva sottolineata da un commento negativo del narratore. Fiaba, sogno e gioco sono l'espressione del processo di simbolizzazione e dell’interazione del bambino con l’ambiente circostante. Il problema rimane quello di non farsi sequestrare dal racconto (Barthes) e di svincolarsi dalla lingua. La letteratura prende il sopravvento fornendo le regole dei comportamenti adulti. Può anche essere qualcosa di positivo, nel caso l'identificazione avvenga con l'eroe buono, ma il pericolo è di ritrovarsi imprigionati in un ruolo, peraltro legato ai modelli simbolici dell'infanzia. Si è detto della componente sessuale nella favole, il ruolo impedisce la consapevolezza dei comportamenti e limita la circolazione del desiderio. Biancaneve, Cenerentola, Pinocchio desiderano e sono in cerca del piacere. Nella lingua di un bambino, fatta di metafore e metonimie, è più che evidente e il rischio è quello di circoscrivere tale fondamentale processo di crescita e di equilibrio della psiche all'interno di quel contesto semantico che chiamiamo favola. La trasgressione, la disubbidienza sono un modo per svincolare il desiderio dai binari del linguaggio e dalla narrazione. Si converrà che per il bambino che ascolta il racconto, rimangono la parte più eccitante, quella che viene percepita con maggiore intensità e partecipazione. Non c'è analogia tra fiaba, favola e sogno, ma un vero e proprio legame; sul piano linguistico e simbolico rappresentano esperienze comuni. Peirce distingueva tra tre generi di segno: quello "iconico" (che rimanda al suo referente; ad esempio il disegno di un cane), quello "indessicale" (che ha una relazione di causa col referente; le nuvole come segno della pioggia), e quello "simbolico" (che non ha nessuna relazione col referente). Favole, sogno e gioco dimostrano l'arbitrarietà del segno e la convenzionalità delle proposizioni. Imbrigliato nella lingua il desiderio non è più libero di circolare alla ricerca della realtà svincolata da una narrazione; produce allora una rappresentazione o una pantomima sulla spinta di un'esigenza morale. Metafora e metonimia precedono però non solo la lingua ordinata in un sistema semantico, ma la morale stessa. Jakobson partendo dalla distinzione tra dimensione verticale e orizzontale del linguaggio (che si collega a quella tra langue e parole), parlava di una sistematizzazione del linguaggio sull'asse sintagmatico o su quello paradigmatico. L'asse sintagmatico è quello sul quale gli elementi della lingua si dispongono in una linea; quello paradigmatico è il ricettacolo dal quale si attingono gli elementi da sistemare sull'asse sintagmatico. Ad esempio, nell'enunciato "il cane morde il gatto", ogni parola è disposta sintagmaticamente lungo l'asse orizzontale, ma posso attingere paradigmaticamente dal genere dei nomi per sostituire a "gatto" o a "cane" altre parole e ottenere una frase diversa: "papà morde il panino". Per Jakobson, questa distinzione sui due assi corrisponde alla distinzione tra metafora e metonimia. La metafora presenta la sostituzione di qualcosa sull'asse paradigmatico; la metonimia su quello sintagmatico. Da questo punto di vista, la favole e la fiaba (come il sogno) sono un lingua onirica che si costruisce sulle sostituzioni continue tra i due assi, giocando con metafore e metonimie. Il contenuto morale afferra il linguaggio in una sedimentazione di senso, elaborando i termini lo irrigidisce in una catena semantica che impedisce il passaggio dall'asse paradigmatico a quello sintagmatico. E ciò in sostanza vuol dire che il sentiero del bambino è dal principio segnato secondo l'ordine della lingua. Il sogno rimane un sogno e quel che gli adulti chiamano reale finisce per prevalere sulla fantasia e l'immaginazione. Dominato o domato dalla morale il desiderio conduce, come in una favola, prima o poi a dominare quello dell'altro.

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