Accanto
all'inconscio personale, inteso come rimosso e sede dei complessi,
Jung individuava un inconscio collettivo composto da archetipi, che
sono i modi con i quali funziona la psiche in profondità. Se tali
funzioni (funzioni più che immagini perché precedono la loro
formazione) invadono la coscienza senza un filtro possono risultare
numinosi, ossia far vivere esperienze intense e significati;
altrimenti danno luogo a fenomeni dissociativi e distruttivi. E'
nella fiaba come nel sogno che gli archetipi irrompono e danno forma
alle rappresentazioni. La fiaba (più che la favola) racconta il
percorso attraverso il quale la mente giunge alla sua maturazione,
liberandosi dai complessi che la mettono alla prova (gli ostacoli, le
lotte, le sfide), attraverso la funzione archetipica (un oggetto
magico nelle storie o un feticcio animato nella vita del bambino) che
invece di annientarla finisce per fortificarla. La sequenza è
piuttosto lineare e ordinata. Nella fiaba gli eventi si dividono in
quattro momenti. Il primo racconta il luogo, il tempo, i personaggi
principali, l'inizio dell'azione. Il secondo la vicenda nella sua
dinamica avventurosa. Il terzo la crisi, in cui il protagonista si
trova di fronte a situazioni in grado di annullarlo. In ultimo la
''lisi", in cui il protagonista trionfa. Per Bettelheim il
bambino non è un soggetto passivo rispetto alla storia ma partecipa
attivamente con le sue emozioni e la fantasia, avverte che è un
racconto che lo riguarda in profondità. Attraverso l'identificazione
con i personaggi riesce a superare le situazioni conflittuali e
angoscianti; si libera dalle pulsioni aggressive e dallo stato di
impotenza, in qualche modo nasce alla vita adulta. La componente
trasgressiva è un elemento fondamentale nella favola come nella
fiaba, ed è una tappa naturale nella crescita di un individuo. Si
tratta di deviare da un sentiero segnato da istanze superegoiche non
ancora assorbite dalle figure di riferimento adulte. Nell'infanzia il
Super Io è debole e viene aggredito dall'Es; Pinocchio si sottrae
agli ammonimenti della fata e di Geppetto, Cappuccetto Rosso a quelle
della Madre. Padre e Madre non sono sufficientemente assorbiti e
quindi ancora inconsistenti nella mente del bambino. La trasgressione
è una specie di immersione nell'inconscio personale e una protesta
al mondo adulto che non riesce a integrare, nella quale percepisce i
conflitti interni personificati in immagini che provocano paura e
panico. Ma è anche un tentativo di liberarsi dalle catene della
lingua e dalle regole narrative quando invadono la vita intima. Si
tratta di un'esperienza intensa e paurosa e il bambino avverte i
pericoli; la paura è un modo per comprendere, quel che non ha forma
assume un contorno e la paura viene almeno in parte detonata.
L'immersione conduce poi a un ritorno all'inconscio extrapersonale
collettivo. Nel sogno come nella fiaba il bambino sperimenta la forza
distruttiva o creativa degli archetipi. Pinocchio incontra
Mangiafuoco, poi viaggia nel Paese dei Balocchi, viene quindi
inghiottito e incorporato, si immerge nella pancia della balena.
Cappuccetto Rosso è ingoiata dal lupo, Cenerentola deve ritornare
dalla matrigna. Se il bambino fa un bagno nell'inconscio personale,
il contesto immaginario risulta ansioso; mentre l'immersione
nell'inconscio collettivo porta in situazioni estreme, angosciose e
depressive. Il limite è quello. L'ansia vissuta dal protagonista e
in cui si identifica il bambino è uno stato d'animo suscitato da
eventi che non riesce a integrare, prima che da draghi o orchi, e
rappresenta una reale minaccia per l'Io. Si tratta di
una paura senza l'oggetto, paura della paura; quel cieco sentire che
afferra Pinocchio (che infatti è pieno di presagi negativi) prima di
partire per il paese dei Balocchi, o quello che prende Biancaneve
quando si avventura nel bosco. Nella sua profondità la paura è
attesa e l'attesa è uno dei modi in cui si presenta l'angoscia.
L'incomprensibilità che sta nel fondo scaturisce da stati d'animo
ambivalenti; è un elemento fondamentale, nella narrazione tanto
nella psiche, quanto da presentarsi praticamente in tutti i racconti
per l'infanzia, ma anche nella mitologia e in buona parte della
letteratura. Nell'immersione i protagonisti incontrano figure
fantastiche che sono elementi interni alla mente, non proiezioni ma
reali presenze con cui viene in contatto: i complessi dell'inconscio
personale e gli archetipi dell'inconscio collettivo. Il Grillo
Parlante non è una rappresentazione del Super Io, ma la voce
narrante della coscienza in conflitto con i desideri del butattino;
il Gatto e la Volpe (l'ultima in particolare, sotto la quale si
nasconde la strega, come avverte Von Franz) immagini archetipiche
dell'ipocrisia, dell'astuzia e della cattiveria. In Hansel e
Gretel gli adulti sono
figure divoratrici; le sorellastre di Cenerentola, l'Ombra che viene
proiettata dal sottosuolo. In Cappuccetto Rosso il lupo è
l'archetipo della malvagità e incarna l'immagine distruttiva o
autodistruttiva. Il pericolo reale non è l'aggressione del Lupo, ma
la personalità del bambino che può soccombere, divorata
dall'inafferrabilità di fenomeni contrastanti o fagocitata dalla
personalità degli adulti, diventando ritorsione e autodistruzione.
La repressione
diventa perversione, poi masochismo o sadismo a secondo delle
situazioni. Si tratta di una trasformazione radicale del protagonista
del racconto, non sempre lineare e ordinata come analogamente accade
nel sogno. Il Brutto anatroccolo diventa un cigno, Pinocchio un
bambino, Cenerentola e Biancaneve principesse. The
Uses of Enchantment. The Meaning and Importance of Fairy Tales,
A. Knopf 1976 (tradotto in italiano con il titolo "Il mondo
incantato"), di Bettelheim è
il
libro da cui partire per una lettura psicoanalitica delle fiabe.
L'autore sottolinea che le versioni originali delle favole, in cui
erano ancora presenti gli elementi crudi e violenti, permettevano ai
bambini di rappresentare i conflitti con maggior intensità.
Le
interpretazioni, che risalgono alla prima topica freudiana risultano
certamente schematiche, ma di un certo interesse rimangono le
considerazioni sulla coppia narratore e ascoltatore. Per Bettelheim:
“Il processo inizia con la resistenza ai genitori e con la paura di
crescere e termina quando il ragazzo ha realmente trovato se stesso,
ha raggiunto l’indipendenza psicologica e la maturità morale e non
vede più l’altro sesso come minaccioso o demoniaco, ma è capace
di entrare in relazione con esso”. Emblematica è la storia di
Rapunzel dei fratelli Grimm. In Raperonzolo si legge che la maga
rinchiude la bambina (Raperonzolo appunto) nella torre quando aveva
poco più di dieci anni. Difficile non rinvenire nella vicenda il
paradigma di un’adolescente e di una madre oppressiva che ostacola
la crescita della figlia. Così scrive lo studioso austriaco: “Un
bambino di cinque anni ricavò una rassicurazione completamente
diversa da questa storia. Quando seppe che sua nonna, che accudiva a
lui per la maggior parte della giornata, sarebbe dovuta andare in
ospedale perché gravemente ammalata … chiese che gli fosse letta
la fiaba di Rapunzel. In quel momento critico della sua vita ...
[prese conforto dal] fatto che Rapunzel trovò i mezzi per sfuggire
alla difficile situazione nel proprio corpo, ovvero con le trecce che
il principe usò per arrampicarsi fino alla sua stanza nella torre.
Che il proprio corpo possa fornire a una persona il sistema per
salvarsi lo rassicurò con l’idea che anche lui, in caso di
necessità, avrebbe analogamente trovato nel suo corpo la fonte della
sua sicurezza”. Semplificando, così come fanno le favole, i
problemi fondamentali si presentano in modo chiaro e conciso,
comprensibile al linguaggio infantile. Ed è forse questo il loro
carattere deleterio; non c'è sforzo o articolazione nella
comprensione, creano dicotomie rigide su base emotiva e non secondo
ragione. La ragione subentra posteriormente quando è oramai
contaminata dalla morale. I caratteri dei personaggi sono nettamente
spiegati, il dualismo bene-male impone il problema morale e richiede
uno sforzo affinché possa essere superato. Non più secondo ragione
però, ma sulla base di una tensione interna; la paura domina nella
scena e muove organizzandola la psiche del fanciullo. La regola è
salvarsi la vita, la comprensione dei fenomeni non può che essere
subordinata e successiva. Per quanto l’eroe risulti come esempio al
bambino, permettendogli di identificarsi in un personaggio positivo
affrontando e vincendo situazioni pericolose, la morale compensata
con la lotta e la vittoria tende a prevalere sul principio di ragione
e ancor di più sul contenuto letterario. Ed è questo il limite
della favola, la comprensione morale si sovrappone a ogni altra. La
paura assorbe il campo e non lascia spazio ad altre considerazioni
oltre quelle brutalmente contingenti. I personaggi delle fiabe non
sono mai ambivalenti, buoni e cattivi allo stesso tempo, come invece
accade nella realtà. La scelta è obbligata, fa in modo che non si
possa articolare il racconto e il lieto fine è pressoché scontato;
ragione per cui risultano dannose per la crescita, in quanto limitano
fortemente il campo dell'esperienza e delle emozioni. Pur precisando
che per Bettelheim “Il succo di queste fiabe non è propriamente
morale, ma piuttosto la fiducia di poter riuscire”. Raperonzolo è
una fiaba europea, pubblicata dai fratelli Grimm nella raccolta
(Kinder und Hausmärchen, 1812-1822). Il nome della protagonista
dipende dal fatto che quando la madre era rimasta incinta venne presa
dal desiderio di mangiare i raperonzoli che crescevano nel campo
della vicina, la strega Gothel. La vicenda può essere ricondotta
alla figura mitologica di Danae. Ne Lo cunto de li cunti (1634), noto
come Pentamerone, di Giambattista Basile si trova la fiaba
Petrosinella, che narra una storia simile. Basile racconta di una
donna gravida che desidera il prezzemolo (da cui deriva il nome di
Petrosinella, nel dialetto campano) che si trova nel giardino di
un’orchessa. Il mostro la cattura e in cambio della vita ottiene il
possesso della bambina una volta nata. Tutto questo avviene
ovviamente con un linguaggio elementare ma profondo, non sempre
accessibile alla coscienza vigile; si tratta di una simbolizzazione.
Per l’analisi delle fiabe da un punto di vista psicoanalitico, a
parte il libro di Bruno Bettelheim, risultano esaustive anche alcune
pagine di Melanie Klein e di Erich Fromm. Di particolare interesse
sono le considerazioni della Klein in merito alla posizione
depressiva e schizoparanoide: i personaggi non sono buoni e cattivi
nello stesso tempo; è l'ambiguità a provocare uno sforzo di
comprensione e uno scollamento della personalità. La polarità del
carattere permette al bambino di comprendere la differenza tra un
modo e l'altro, ma disturba il suo campo cognitivo. Il bambino si
identifica facilmente con i personaggi che suscitano la sua affezione
(solitamente i buoni) e decide a sua volta di essere buono.
Nell'identificazione la domanda che si pone non è “desidero essere
buono?” ma “chi voglio essere?”. Non è la virtù a fare buoni
ma l'imitazione di un eroe con i caratteri della bontà; diversamente
è richiesta una capacità astrattiva, che di norma manca al
bambino. Proiettando se stesso nel personaggio il meccanismo
dell'interiorizzazione completa la formazione della sua personalità.
La simbolizzazione è necessaria come mediazione con il linguaggio
cosciente e la rappresentazione è una forma di simbolizzazione
necessaria alla comunicazione con la parte in Ombra della
personalità. Non va interpretato al bambino il significato della
storia: “E’ sempre un atto di invadenza interpretare i pensieri
inconsci di una persona, per rendere conscio ciò che desidera
mantenere preconscio, e questo è particolarmente vero nel caso del
bambino”. La mamma non deve mostrare al bimbo che conosce i suoi
pensieri intimi; la spiegazione distrugge l'incanto, trascina nella
realtà e non permette di fantasticare. La fantasia è una forma di
libertà, anche dei pensieri. L'antropologo russo Vladimir Propp nel
suo saggio Morfologia della fiaba (1966) ritiene che tutte le fiabe
presentino elementi comuni, ovvero una stessa struttura che ritrova
al suo interno i medesimi personaggi che ricoprono le stesse funzioni
in relazione allo sviluppo della storia. In particolare la fiaba
presenta un equilibrio iniziale (inizio), la rottura dell'equilibrio
(avventura) seguita dalle peripezie del personaggio principale, per
giungere a un ristabilimento dell'equilibrio (conclusione). Questo
schema universale fa da cornice al processo di simbolizzazione
all'interno della fiaba perché il contesto stesso della fiaba è
simbolico: il simbolo viene rinforzato dalla struttura della fabula
proprio perché è comune in tutte le fiabe. Attraverso la via
dell'immaginario, favole e fiabe accomunano civiltà e culture
lontane, dimostrando che in esse siano assorbiti gli elementi
dell’inconscio personale e gli archetipi di quello collettivo.
Quando
si parla di favole e fiabe è anche inevitabile il confronto col
mito, ma i processi identificativi risultano più complicati: se il
mito, come la fiaba, può rappresentare un conflitto interiore in
forma simbolica e suggerire la soluzione, presenta la storia in una
forma colta spesso inaccessibile alla lingua e alla fantasia del
bambino. Da un punto di vista propriamente psicoanalitico i miti sono
collegati alle richieste del Super Io e raccontano il conflitto con
le esigenze dell’Es e quelle di conservazione dell’Io. Sono
rappresentazioni distanti e ricordano il rigore della censura o
dell'imperativo morale. La favola, diversamente dal mito, non pone
richieste, non produce un senso di inferiorità, stimola anzi una
certa reazione. Attraverso esempi tratti dalla letteratura popolare,
Bettelheim dimostra come il messaggio di queste storie domestiche
aiuti a superare l’angoscia di essere piccoli in un mondo di
grandi. Ed è per questo che risultano convincenti. Il pensiero del
bambino è animistico (picchia la sedia su cui ha sbattuto, parla con
la bambola); non ci stupiamo che il vento e gli animali parlino, o
che un uomo si trasformi in un asino, poiché la separazione tra
organico e inorganico non è ancora definita come nel mondo degli
adulti. Le fiabe evocano situazioni che permettono al bambino di
affrontare ed elaborare le reali difficoltà della propria esistenza;
sono utili perché aiutano a tradurre in immagini visive gli stati
interiori, danno un volto a quel che non ce l'ha. La fiaba
intrattiene però il bambino, lo afferra come i gendarmi delle storie
e lo costringe a riconoscersi in un contesto elaborato da un mondo
adulto. Favole e fiabe sono scritte dai grandi e l'inconciliabilità
con il mondo dei bambini è evidente, non possono che esercitare una
qualche violenza. Doverosa certo, ma incontestabile. Il processo
evolutivo del bambino inizia con la resistenza ai genitori e con il
timore di crescere, e termina quando ha realmente trovato se stesso
raggiungendo la stabilità psicologica e la maturità morale. Questi
racconti danno voce a problemi evolutivi rilevanti (il bisogno
d'amore, il sentirsi inadeguati, l’angoscia dell'abbandono, la
paura della morte), scarnificando le situazioni, separando il bene
dal male distinguono in modo chiaro quel che nella realtà è
confuso; parlano al bambino dei problemi che avverte come angoscianti
e ne prospettano le soluzioni. Soluzioni adulte naturalmente. Le
storie accettano a livello della consapevolezza le pressioni dell'Es,
e indicano i modi per soddisfare il piacere in accordo con le
esigenze dell’Io e la severità del Super Io. Il bambino ha bisogno
“di ricevere suggerimenti in forma simbolica riguardo al modo di
affrontare questi problemi”. Diversamente, quando i contenuti
nascosti vengono negati, se non hanno accesso alla coscienza, oppure
se vengono limitati o oppressi, la personalità subisce un danno. Il
piacere ha una sua legittimità riconosciuta anche dagli adulti,
incistare la dinamica Io-Es vuol dire produrre una personalità
sofferente e problematica; le fiabe offrono una via di fuga
all'adulto che le racconta e una certa soddisfazione al bambino che
le ascolta. E’ fondamentale che una parte del sottosuolo possa
affiorare alla coscienza e venga elaborata attraverso
l’immaginazione, perdendo parte della sua pericolosità. Bettelheim
era critico sul fatto che al bambino debbano essere presentati
soltanto le realtà positive. Il bambino non è un extraterrestre,
deve fare i conti anche con la parte oscura, l'Ombra, con
l’aggressività, l’odio, l’ansia, la rabbia maturando il
coraggio per affrontare le difficoltà. Le difficoltà le creano più
o meno consapevolmente gli adulti, riversandole spesso nella
sessualità.
Se
è evidente la presenza di contenuti sessuali nella storia, le
interpretazioni discordano. Alcuni autori si sono spinti fino a
rinvenire nei racconti la prostituzione. La fiaba potrebbe essere
intesa come un'esortazione a non esercitare quella professione. Il
tema della ragazza nel bosco in molte culture viene associato alla
prostituzione; nella Francia del XVII secolo la mantellina rossa era
veniva indossata dalle meretrici e le lupae dell'antichità dovevano
portare un drappo rosso. Il rosso rappresenterebbe le mestruazioni e
l'ingresso nella pubertà (la foresta) mentre il lupo, l'uomo era
visto come l'aggressore. Ma, pur non mancando l'erotismo nelle storie
popolari, sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano,
frutto come si vede di una certa morbosità e di un gretto
intellettualismo da parte degli adulti.
Un aspetto invece interessante è
l'antropofagia. La fiaba ha origine nel contesto europeo piegato
dalle carestie, durante le quali si contavano casi di cannibalismo
(emblematiche sono la carestia del X secolo e quella ancora più
drammatica del 1315-1317). Soprattutto nelle versioni più antiche
delle fiabe la figura antropofaga prendeva la forma di un'orchessa,
un mostro femminile, piuttosto che di un lupo (di sesso maschile, la
cui antropofagia era riconosciuta come un fatto ordinario) e ciò
induce a pensare come questi racconti si siano modificati per
rispondere alle diverse esigenze educative.
Per
concludere. La fiaba è un racconto mitico costituito da immagini e
personaggi archetipici. Jung scrive che le fiabe consentono di
studiare l'anatomia della psiche meglio delle discipline
scientifiche, in quanto presentano in forma pura i processi
dell'inconscio collettivo e riproducono modelli del comportamento
archetipico (von Franz, 1996). Occorre mettere da parte la cultura
per ascoltare ciò che il simbolo ha da dire. Marie-Louise von Franz
ha dedicato parte del suo lavoro proprio all'interpretazione
psicologica della favola. Sottolineava che tutte le fiabe descrivano
il Sé, l'archetipo fondamentale della psiche. Nel libro "Le
fiabe del lieto fine; psicologia delle storie di redenzione"
(2004) la von Franz analizza il lieto fine a partire dalla
trasformazione e la liberazione in quanto possibilità di arrivare al
Sé. Le fiabe caratterizzano non solo l'equilibrio di un individuo,
ma offrono anche un metodo terapeutico. Analizzando le strutture
archetipiche della fiaba, la psicoanalista puntualizza: “Al di
sotto della superficie delle nostre vite quotidiane esiste uno strato
della vita psichica dove gli eventi scorrono proprio come nelle
fiabe. I grandi miti emergono e si sviluppano a partire da tale
livello, per poi ridiscendere nuovamente nel profondo dell'inconscio
e trasformarsi in fiabe” (von Franz, 2009). Ciò vuol dire che la
fiabe presentano gli archetipi nella forma genuina e pura, offrendoci
un alfabeto e un metodo per comprendere i processi della psiche
collettiva. Mentre nei miti, o in qualunque altro materiale
narrativo elaborato, rinveniamo i modelli della psiche rivestiti di
elementi culturali, nelle fiabe l'invadenza culturale è presente in
misura limitata; riflettono più direttamente i modelli profondi
della psiche. La ragione di un'interpretazione psicologica delle
favole, per la von Franz consiste nell'effetto rigenerante, nella
reazione emotiva, in quell'incomprensibile equilibrio che producono:
“L'interpretazione psicologica è il nostro modo di raccontare
storie; avvertiamo ancora lo stesso bisogno, aspiriamo ancora al
rinnovamento che scaturisce dalla comprensione delle immagini
archetipiche”. E aggiunge con autocritica: “Sappiamo bene che
l'interpretazione è il nostro mito” (von Franz, 1996). Nel suo
libro "Le fiabe interpretate", l’autrice schematizzava le
fasi per una corretta interpretazione, con una tecnica che ricorda
quella strutturalista: introduzione (c'era una volta; la formula
indica una collocazione fuori dallo spazio e dal tempo e dunque in un
luogo immaginario, e perciò comune, collettivo); personaggi (contare
i personaggi all'inizio e alla fine può essere utile per cogliere un
elemento archetipico); esposizione (l'inizio del problema, la crisi e
le difficoltà che caratterizzano la fiaba); avventura e lisi
(l'avventura, che può articolarsi in varie peripezie fino a giungere
al vertice della tensione dopo la quale “avviene una lisi o una
catastrofe, una soluzione positiva o negativa, l'esito finale; il
racconto termina poi in tragedia o si conclude felicemente”). In
ultimo ci sono le formule conclusive, “rite de sortie”, così
dette per non rimanere vincolati all'universo infantile
dell'inconscio collettivo. Una caratteristica della fiaba che non
ritroviamo in altri generi come miti e leggende, è che la
conclusione può anche essere ambigua, ossia una conclusione positiva
sottolineata da un commento negativo del narratore. Fiaba, sogno e
gioco sono l'espressione del processo di simbolizzazione e
dell’interazione del bambino con l’ambiente circostante. Il
problema rimane quello di non farsi sequestrare dal racconto
(Barthes) e di svincolarsi dalla lingua. La letteratura prende il
sopravvento fornendo le regole dei comportamenti adulti. Può anche
essere qualcosa di positivo, nel caso l'identificazione avvenga con
l'eroe buono, ma il pericolo è di ritrovarsi imprigionati in un
ruolo, peraltro legato ai modelli simbolici dell'infanzia. Si è
detto della componente sessuale nella favole, il ruolo impedisce la
consapevolezza dei comportamenti e limita la circolazione del
desiderio. Biancaneve, Cenerentola, Pinocchio desiderano e sono in
cerca del piacere. Nella lingua di un bambino, fatta di metafore e
metonimie, è più che evidente e il rischio è quello di
circoscrivere tale fondamentale processo di crescita e di equilibrio
della psiche all'interno di quel contesto semantico che chiamiamo
favola. La trasgressione, la disubbidienza sono un modo per
svincolare il desiderio dai binari del linguaggio e dalla narrazione.
Si converrà che per il bambino che ascolta il racconto, rimangono la
parte più eccitante, quella che viene percepita con maggiore
intensità e partecipazione. Non c'è analogia tra fiaba, favola e
sogno, ma un vero e proprio legame; sul piano linguistico e simbolico
rappresentano esperienze comuni. Peirce distingueva tra tre generi di
segno: quello "iconico" (che rimanda al suo referente; ad
esempio il disegno di un cane), quello "indessicale" (che
ha una relazione di causa col referente; le nuvole come segno della
pioggia), e quello "simbolico" (che non ha nessuna
relazione col referente). Favole, sogno e gioco dimostrano
l'arbitrarietà del segno e la convenzionalità delle proposizioni.
Imbrigliato nella lingua il desiderio non è più libero di circolare
alla ricerca della realtà svincolata da una narrazione; produce
allora una rappresentazione o una pantomima sulla spinta di
un'esigenza morale. Metafora
e metonimia precedono però non solo la lingua ordinata in un sistema
semantico, ma la morale stessa. Jakobson partendo
dalla distinzione tra dimensione verticale e orizzontale del
linguaggio (che si collega a quella tra
langue
e
parole),
parlava di una
sistematizzazione del linguaggio sull'asse
sintagmatico o
su quello paradigmatico.
L'asse sintagmatico è quello sul quale gli elementi della lingua si
dispongono in una linea; quello paradigmatico è il ricettacolo dal
quale si attingono gli elementi da sistemare sull'asse sintagmatico.
Ad esempio, nell'enunciato "il
cane morde il gatto", ogni parola è disposta sintagmaticamente
lungo l'asse orizzontale, ma posso attingere paradigmaticamente dal
genere dei nomi per sostituire a "gatto" o a "cane"
altre parole e ottenere una frase diversa: "papà morde il
panino". Per
Jakobson, questa distinzione sui due assi corrisponde alla
distinzione tra metafora
e
metonimia.
La metafora presenta la sostituzione di qualcosa sull'asse
paradigmatico; la metonimia su quello sintagmatico. Da questo punto
di vista, la favole e la fiaba (come il sogno) sono un lingua onirica
che si costruisce sulle sostituzioni continue tra i due assi,
giocando con metafore e metonimie. Il contenuto morale afferra il
linguaggio in una sedimentazione di senso, elaborando i termini lo
irrigidisce in una catena semantica che impedisce il passaggio
dall'asse paradigmatico a quello sintagmatico. E ciò in sostanza
vuol dire che il sentiero del bambino è dal principio segnato
secondo l'ordine della lingua. Il sogno rimane un sogno e quel che
gli adulti chiamano reale finisce per prevalere sulla fantasia e
l'immaginazione. Dominato o domato dalla morale il desiderio conduce,
come in una favola, prima o poi a dominare quello dell'altro.
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